Rileggendo “Arcipelago Gulag” (di Gennaro Annoscia)

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A cento anni dalla nascita e a dieci dalla morte di Aleksandr Solzenycin, la rilettura di “Arcipelago Gulag” ci pone di fronte all’inalterato carattere di attualità dell’opera. Essa nasce come saggio di inchiesta narrativa, in forma di testimonianza diretta; i tratti memorialistici si rivelano, tuttavia, spesso non fondati storicamente.

 

 

L’opera esce in Italia nel 1974, e tanti intellettuali “allineati” si rifiutano di leggerla. Il 20 febbraio 1974, pochi giorni dopo l’espulsione di Solzenycin dall’URSS, Giorgio Napolitano scrive sull’Unità e poi su Rinascita, un lungo articolo in cui definisce “aberranti” i giudizi politici dell’autore russo e usa, strumentalmente, il caso per giustificare le scelte socialdemocratiche del PCI.

In pochi si rendono conto di come, in realtà, l’autore prenda in considerazione dinamiche legate alla psicologia delle masse e a quella individuale, in situazioni di totale disumanità. “Arcipelago Gulag” è, infatti, in linea di continuità con la tradizione del romanzo russo ottocentesco, un’analisi sull’uomo, specie “del sottosuolo”, di qui il suo carattere universale.

In molti sono urtati dai tratti di continuità storica che l’autore pare individuare dall’ascesa al potere di Lenin, passando per la dittatura staliniana, non vista, quindi, come un’aberrazione storica, e continuando anche dopo la morte del dittatore.

Aprendo, a nostro avviso, scenari che spiegano anche la Russia di Putin, con buona pace di Solzenycin, che sta a quest’ultimo come Puskin a Nicola I.

Non condividiamo il nazionalismo e l’ortodossia religiosa di Solzenycin, così come la sua nostalgica esaltazione della Russia zarista, ma siamo, in pari tempo, convinti che Verità e Libertà non abbiano figli e figliastri.

In un’epoca, solo apparentemente post-ideologica, come la nostra, è bene ricordare quanto Solzenycin scriveva, in “Arcipelago Gulag”, a proposito della ideologia: “L’ideologia! è lei che offre la giustificazione del male che cerchiamo e la duratura fermezza occorrente al malvagio. Occorre la teoria sociale che permetta di giustificarsi di fronte a noi stessi e agli altri, di ascoltare, non rimproveri, non maledizioni, ma lodi e omaggi. Così gli inquisitori si facevano forti con il cristianesimo, i conquistatori con la civilizzazione, i nazisti con la razza, i giacobini (vecchi e nuovi) con l’uguaglianza, la fraternità, la felicità delle future generazioni”.

Quanta attualità, ma anche quante contraddizioni rispetto a tante delle posizioni sostenute in seguito!

 

Gennaro Annoscia                                 

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