Giovedì 3 e venerdì 4, alle 21.00, l’attore Cosimo Cinieri sarà Il grande inquisitore da “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, nella riscrittura di Irma Immacolata Palazzo; sabato 5 alle 21.00 e domenica 6 alle 18.00 invece Manuela Kustermann sarà protagonista, con Melania Giglio, di Dichiaro guerra al tempo.
Il gioco del Doppio, tema caro a Dostoevskij, è la chiave di volta attorno alla quale ruota lo spettacolo Il grande Inquisitore, dove la figura del Cristo diviene una mera proiezione di determinati aspetti della coscienza. Con Nicola Vicidomini, Roberta Laguardia, la partecipazione del Soprano Bibiana Carusi, e l’orchestrazione di Domenico Virgili.
Il poemetto del Grande Inquisitore è il IV capitolo de “I fratelli Karamazov”, il vertice del pensiero teologico-filosofico di Dostoevskij, ultimo suo romanzo. Capolavoro assoluto della letteratura d’ogni tempo, è il dramma spirituale tra fede, dubbio e libero arbitrio. E’ un’opera nell’opera, autonoma rispetto al racconto del parricidio e dei tormenti psicologici dei protagonisti, che ben si adatta, quindi, ad essere portata in scena.
Funge da contraltare il video, proiettato sul fondale, che racconta di una Passione ‘giocata’ e vissuta nel Quartiere San Paolo di Bari nel 1977, oggi rielaborata in slide. Un solitario rito-spettacolo, nel quale Cosimo Cinieri truccato da Gesù portò una pesante croce per le strade, supportato da una colonna sonora di voci fuori campo: esplosioni di parole come quelle che vengono dette o urlate a ogni angolo della strada, in attinenza con la lingua furbesca e popolare, commento degli astanti di fronte a un ‘mistero’ di una religiosità etnologicamente cupa che accetta come vera la rappresentazione, legata com’è alle proprie credenze o illusioni religiose. Commenti stupiti, ammirati, partecipi o increduli, fideismi e scetticismi, della povera gente assiepata lungo il percorso: comari, vecchi sfaccendati, ragazzotti. Un documento della demenzialità diffusa esilarante e agghiacciante al contempo, un impasto di scioccaggine, superstizione, ‘cuore in mano’, pruriginoso pietismo, credulonità da tossicodipendenza televisiva (frequenti i richiami al Gesù zeffirelliano). In contrappunto, il canto del soprano Bibiana Carusi, che scopriremo infine essere il Doppio di quel Cristo in borgata.
In Dichiaro guerra al tempo, ispirato ai sonetti di William Shakespeare, due donne giacciono sprofondate negli abissi del tempo. Una in epoca elisabettiana, l’altra in epoca moderna.
Abitano la stessa stanza. Non si vedono, non si parlano direttamente, ma sicuramente si percepiscono.
La stanza è la stanza della memoria. Ovunque, manoscritti, versi, perpetue parole, spartiti musicali. I versi appartengono a William Shakespeare. Nella stanza dell’immaginario del grande poeta ci si può anche smarrire. Il poeta è testimone instancabile di un mondo che non c’è più, una realtà costruita con dedizione, fede, potenza espressiva, serietà, competenza e valori indiscutibili. Il poeta frequenta il futuro nella vita di ogni giorno, si batte per la verità, cade in deliquio, trema, sviene per un istante e in quell’istante elabora universi, sogna l’infinito e tenta di decifrarne la grammatica. Così è la scrittura di Shakespeare, scrittura “vivente”, tracciata nell’inconscio dei suoi interpreti. Così è la sua Poesia.
Questo viaggiatore dell’illusione e del sogno parla una lingua di cristallo, si misura con ogni possibile realtà, ogni forma di tradimento e, come dal fondo di un pozzo, si affanna a parlare a tutti gli uomini ancora “vivi”, tramite versi che ci parlano delle paure di un vecchio, degli incubi notturni di un Re lasciato solo dalle figlie, delle notti d’amore di una Regina, degli affanni di un giovane principe, dei pensieri di un grande condottiero… La stanza che ospita quest’uomo ha grandi pareti di fumo che soffrono dell’instabilità propria dei sogni e quindi mutano continuamente.
Info: Biglietti nel circuito Bookingshow; al botteghino del teatro e al Box office Feltrinelli.
Info 080.542.7678; www.teatridibari.it
Ufficio stampa Teatri di Bari-Teatro di Rilevante Interesse culturale, Kismet e Abeliano
di Antonio Carbonara