Al Teatro van Westerout di Mola di Bari il debutto di «Maison Feydeau»

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PAOLO PANARO foto di Vito Mastrolonardo Bari

È un frenetico ritratto di famiglia, irresistibilmente grottesco, l’originale omaggio ai personaggi nati dalla penna di Georges Feydeau che la Compagnia Diaghilev rende con la nuova produzione «Maison Feydeau», in scena dal 6 al 21 maggio, dieci recite al Teatro van Westerhout di Mola di Bari nell’arco di tre settimane, il 6, 7, 11, 12, 13, 14, 18, 19, 20, 21 maggio (festivi ore 19, biglietti euro 10, info 333.1260425).

Drammaturgia e regia sono di Paolo Panaro, che ha isolato alcuni dei più divertenti protagonisti delle opere di Feydeau per poi incorniciarli con la stessa vorticosità distintiva del grande drammaturgo francese. Personaggi dei quali si fanno interpreti, oltre allo stesso Panaro, Elisabetta Aloia, Antonella Genga, Francesco Lamacchia, Loris Leoci e Giulia Sangiorgio, che è anche assistente alla regia. Scene, costumi e luci sono rispettivamente di Donato Didonna, Francesco Ceo e Gianni Colapinto.

Cinico e divertito ritratto della società borghese otto-novecentesca, il teatro di Georges Feydeau recupera la ben collaudata struttura drammaturgica del vecchio vaudeville (la moglie, il marito, il domestico, la domestica, l’amante, il figlio). E all’interno di questa struttura l’autore di «Sarto per signora» e «Il tacchino» imprigiona una larga fascia sociale, che comprende una certa borghesia e il demi-monde della Belle Époque, per poi spingere l’analisi delle situazioni fino a un estremo maniacale, dove la satira sembra andare al di là da se stessa e fissarsi in una astratta perfezione dei movimenti dentro un teatro che è già teatro moderno.

In altre parole, Feydeau mette in scena i vizi e le ossessioni tipici della sua società: insofferenza e fuga dalla monotona routine della vita coniugale, frustrazioni personali e collettive per non aver realizzato i propri sogni, incapacità di educare in maniera adeguata i propri figli. Debolezze e tic che dopo un secolo non si sono attenuati, anzi si sono ingigantiti fino a diventare mostruosi. E che Panaro rilegge, scatenando una lunga, amara e intelligente risata, con un esperimento scenico fatto di humor nero e comprovati meccanismi comici. Così, in «Maison Feydeau» – questa casa immaginaria abitata da creature disegnate con lo sguardo freddo e la temerarietà dei giganti del teatro comico – risuona il disperato grido d’allarme di una società in crisi, cronicamente ammalata di ripugnante ipocrisia, di costante insoddisfazione e di psicotico erotismo, per un vivo e travolgente omaggio alla commedia, il più puro, onesto e profondo dei generi teatrali.

 di Maria Cristima Consiglio

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